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BLACK X-MIST | Indagine tecnica



Abbiamo deciso di fare qualche test per capire il funzionamento dei filtri Black X-Mist, noleggiandoli spesso e conoscendoli poco abbiamo pensato potesse essere una buona cosa.


Così dopo i primi giorni di quarantena il nostro titolare Luca Pischedda, ha iniziato a girare le prime sessioni e a condividerle con amici, tra cui Dante Cecchin, attuale distributore con la sua LockCircle, il Colorist Alessandro Bernardi, amici DoP e grandi Cinematographer come Michele D'Attanasio e Davide Manca.


Questa è l'attrezzatura che abbiamo utilizzato e i parametri a cui ci siamo attenuti.

Arri Alexa Mini oltre a rappresentare uno standard cinematografico internazionale, è anche una macchina estremamente versatile che ci a permesso di girare in totale autonomia questi test, anche quando il soggetto coincideva con l'operatore, lo start e stop alla camera lo si dava attraverso lo smartphone collegato in Wi-Fi alla MDP.


L'effetto di questi filtri è dovuto dalla quantità di grana presente sul filtro.

In linea teorica se volessimo ottenere un effetto costante su tutte le focali bisognerebbe far attraversare la luce da un filtro che abbia in proporzione sempre la stessa densità di grana.

Quindi, sempre in linea teorica, su focali corte come il 14mm andremo a usare filtri deboli come il Black X-Mist da 1/8, fino ad usare filtri più densi come il 1/2 o l'1 su focali come il 100mm o il 135mm.

Diciamo in linea teorica perché le ripercussioni sull'immagine sono numerose, riguardano il colore, la saturazione, la luminosità e gli effetti derivati, come ad esempio il glow.

I filtri più utilizzati sui set cinematografici sono i primi 4, invece i filtri 1 e 2 trovano impiego più per forti effetti estetici e artistici perché intervengono sull'immagine in modo determinante.



Siamo partiti sapendo quello che sanno tutti, cioè che questo genere di filtri agisce sulle ombre e viene utilizzato per la ammorbidire la pelle, stop.


Così le prime comparazioni sono state su scene prettamente buie, con un soggetto in primo piano e uno sfondo scuro. Ma a parte un effetto generale di ammorbidimento dell'immagine non riuscivamo nè a capire la sua azione nè a quantificarla.



Il primo suggerimento da parte di Dante è stato quello di aggiungere una luce a spot sullo sfondo, per vedere come grazie ai filtri l'atmosfera prenda una "forza drammaturgica".

Così abbiamo iniziato ad estendere il campo della ricerca e per vagliare nel minor tempo possibile il maggior numero di variabili, abbiamo applicato alla stessa scena numerose opzioni: senza luce sullo sfondo, con la luce che si accende e arriva al massimo della sua intensità a due aperture fisse di diaframma, una più aperta a l'altra più chiusa, poi a parità di intensità luminosa abbiamo aperto e chiuso il diaframma, per finire con una pan per far entrare un po' di flare in campo.


A partire da questo test sono iniziate le sorprese, perché abbiamo notato come un impercettibile flare venga enfatizzato maggiormente da filtri di minore intensità (come l'1/8), rispetto a quelli più forti che tendono a toglierne consistenza.


Tutta la prima sessione in montaggio è stata poi duplicata, perché era molto importante vedere l'effetto sia in LOG C che in REC 709.

Quando abbiamo mostrato per la prima volta il test a Michele D'Attanasio ci ha subito suggerito di mostrare prima il REC 709, poi per un approfondimento il LOG C, così abbiamo invertito tutte le sequenze.


Poi ci siamo concentrati sullo skin tone, dedicandogli solo una sessione perché non pensavamo potesse cambiare più di tanto, così abbiamo montato il 35mm sull'Alexa Mini e abbiamo iniziato a registrare lo skin tone dell'unico modello che avevamo a disposizione durante la quarantena: quello del nostro titolare.



Abbiamo rifatto almeno un paio di volte tutte le clip, perché a volte c'era un leggero sfocato, altre volte l'espressione era più vicina a uno zombie, ma alla fine abbiamo tenuto buona questa serie, dove l'entusiasmo tra la prima e l'ultima scena è palesemente sceso :)


Questo era il frame da cui siamo partiti: una chart video, fondo nero con un blacksolid per avere un po' di panneggio (che sarà tornato molto utile successivamente) e un mezzo busto con maglietta nera.



In una prima fase il test sullo skin tone si fermava a una veloce comparazione dell'effetto sul volto. Si vedeva in modo eclatante l'effetto ed era più che sufficiente.

Dopo un ulteriore feedback di Michele D'Attanasio che ci ha rinnovato l'importanza del capitolo skin tone, abbiamo cercato di approfondire analizzando l'effetto dei filtri con delle waveform comparate.


Nonostante il target di utenti a cui è destinato questo video sia principalmente composto da professionisti capaci di leggere un grafico, abbiamo deciso di renderlo quanto più esplicito possibile per garantire una certa immediatezza di lettura.




Proprio cercando di rendere più esplicito l'effetto dei filtri abbiamo trovato il migliore esempio che com spesso accade non era previsto. Abbiamo utilizzato le pieghe della maglietta e del telo nero sullo sfondo.

Abbiamo finalmente capito quali sono le fatidiche ombre che questi filtri "aprono".


Come si può evincere da queste due immagini i neri (quello della maglietta un po' più chiaro e quello della tenda un po' più scuro) si trovano a due altezze diverse del waveform: tra i 128 e i 256 c'è il segnale della maglietta e tra i 128 e lo 0 c'è il segnale del tendaggio sullo sfondo.

Cosa andiamo a scoprire?

Dai 128 in su le ombre vengono schiacciate, infatti il contrasto delle pieghe della maglietta diminuisce sensibilmente, ma sotto i 128 oltre a schiacciarsi, le ombre diventano un po' più chiare.


Dante ci aveva anche suggerito di verificare il comportamento dello skin tone sul vettorscopio, così abbiamo trasformato l'inquadratura della chart in un tabella con a sinistra skin tone palette, scala di grigi, colori primari, a destro il vettorscopio amplificato con una griglia ideata dal Colorist Ale Bernardi, e in basso a destra le informazioni su filtri, focale, iris e LUT.



All'interno del video mostriamo per gradi cosa succede tra il filtro ad intensità massima e l'assenza di filtro.

Si denota una tendenza dei puntini ad avvicinarsi al centro, quindi una diminuzione della saturazione.

Nel video tutti i passaggi sono spiegati più dettagliatamente.


Per registrare al meglio le informazioni che ci servivano abbiamo adottato questo schema di luce: due faretti da 650w dimerati e diffusi per avere la massima uniformità di illuminazione sulla tabella.


Inizialmente ci siamo accontentati di un leggero gradiente che però ci inclinava tutte le informazioni sul seguente waveform. Avere tutte e 4 le linee dritte era obligatorio, così abbiamo preferito inclinare leggermente in avanti la chart e deformarla in fase di post per ritornare ad avere una forma rettangolare.

Monitorare il risultato con delle clip registrate a dovere ci ha reso la comprensione dell'effetto molto più chiara.


È stato un po' più complesso fare una comparazione simultanea di tutti i filtri su tutte le focali, però era indispensabile per comprendere come agiscono sui 4 livelli di luminanza.

Nelle slide che avete appena visto si può notare quanto i filtri tendano ad abbassare la luminosità di tutta l'immagine, tranne che per i neri profondi che invece diventano più luminosi.

Tutte le clip sono ritagliate e bilanciate per rendere più chiaro il test. Abbiamo infatti bilanciato millimetricamente il le 4 gradazioni per renderle tutte uniformi. Essendo un test sulla luminosità e non sul colore potevamo farlo.

Tutte le scene sono state girate a distanze diverse dal soggetto per mantenere una certa uniformità di inquadratura.






Queste due immagini mostrano il backstage di come è stato girato il test sul focus shift e sul bokeh.

Anche questo test è stato rifatto alcune volte, perché le candele si consumano in fretta e per una buona riuscita del test le fiamme devono essere tutte alte uguali.

Per realizzare queste scene è stato necessario accendere e spegnere ogni volta tutte e 5 le candele. Si può vedere in basso a destra una candela pilota che usavamo per riaccendere tutte le fiamme.

È stata una vera sfida di precisione che però ha dato i suoi frutti in montaggio perché le fiamme erano tutte perfettamente allineate.

Il cambi fuoco è stato fatto con il Tilta Nucleus M, settando sia l'in point e l'out point che la velocità. Sull'escursione non ci sono stati problemi, la corsa del fuoco era molto precisa, ma sulla velocità non ci siamo. Il dispositivo variava i giri di poco ogni volta, sia all'andata che al ritorno e i tempi sono stati rimappati in DaVinci Resolve.


Anche


in questo caso vi rimandiamo al video per vedere tutti i cambiamenti che generano questi filtri sull'immagine. Si può dire che vedere in simultanea sei scene alla stessa velocità ha un non so che di "satisfing", e soprattutto rende molto chiara l'idea di come lavora sui corpi luminosi.


Non contenti, abbiamo cambiato soggetto prendendo una piccola luce led fissa dal bulbo sferico, che ci ha permesso di avere tempi di rirpesa più rilassati e di concentrarci di più sulla modulazione del glow lungo tutte le lunghezze focali e i 5 filtri.

Il risultato è una tabella dove si evince in modo cristallino la relazione tra lunghezza focale e filtro.





Non è un caso che il raggio del glow sia più corto nella prima riga in basso (quella relativa al 14mm) e più lungo nella riga in alto (quella relativa al 135mm), perché man mano che la focale si allunga la densità della grana che lavora sul sensore diminuisce. Questo genera un glow più compatto nelle focali corte e un glow più morbido e diffuso nelle focali più lunghe.

Infine vogliamo chiudere con un intervento di Dante Cecchin, che ci racconta in modo approfondito come li utilizzava sul campo.



<<Fondamentale per un direttore della fotografia è quello di definire il “look” per un film da girare, in base alla tipologia della storia, del periodo storico, o semplicemente per dare un carattere estetico particolare e stiloso al film. Per cui prima di partire con la produzione di un nuovo film si lavora su una precisa idea estetica che coinvolge scelta della camera, ottiche e soprattutto avere ben chiaro la scelta per l’illuminazione e la gamma di “gels” (non sempre i gels digitali sono interessanti) suddivisa in una sorta di orologio cromatico del tempo che naviga attraverso la storia delineando il “look” psicologico e temporale della narrazione.

In questo lavoro di pre-produzione si definisce la coerenza di diaframma, cioè si delinea per esempio, che per tutti gli interni di lavorare a diaframma tra T2.3 e T3.2 (con primes T1.4), mentre per tutti gli esterni usare T4 e T5,6 per cui creare una leggenda dei diaframmi da usare al di là della luce che si avrà disposizione.

La coerenza di diaframma permette di collocare l’estetica del film in un percorso visivo preciso, che coinvolge anche la tridimensionalità dell’intero progetto, ma anche le dinamiche espressive del follow-focus, che con aperture di diaframma più spinte richiedono uno stile più dinamico che fanno parte di scelte cinematiche precise. Poi va calcolato l’utilizzo degli ND da usare in esterni, ma anche gli ND da usare negli interni con le luci, combinate anche con la luce naturale. Per cui in base alle scelte di diaframma e dei diversi ND, si testa anche la combinazione dei filtri Black X- Mist fondamentali per costruire un “look” sofisticato e brillante del film. L’effetto in termini di gradazione dei filtri Black X-Mist possono variare in base alla focale, al diaframma utilizzato, ma anche dalla tipologia di illuminazione che si trova in scena. Per questo motivo solitamente svolgo una serie di test incrociati tra le diverse focali, i diversi diaframmi di lavoro su scene test con luci basse ed altre con molte alte luci.

I filtri Black X-Mist più utilizzati sono le densità 1/8 – 1/4 – 1/2 mentre le densità 1 e 2 sono relegati a particolari effetti ma non utilizzati per le scene di dialoghi con attori. La diversa scelta della densità del Black X – Mist sono necessarie per mantenere un livello di coerenza visiva che può essere condizionata sia da scene a basso contrasto senza alte luci, sino ad arrivare anche a non usare alcun filtro se necessario per mantenere la coerenza fotografica in continuità.

Su scene con invasione di alte luci preferisco la densità 1/8, mentre per la stessa scena se non vengono inquadrate le alte luci, usando una ottica di focale più larga, opto per la densità 1/4 oppure 1/2. È fondamentale fare dei test accurati (anche del workflow digitale e del grading con i filtri) prima di iniziare la produzione di un film e crearsi delle note (annotazioni sul Moleskin) a cui riferirsi poi mentre si gira. Un esercizio che permette, durante la produzione di lavorare con un progetto fotografico preciso per mantenere coerente l’intero look del film.

Insomma, è importante avere ben chiaro con i Black X-Mist, la relazione focale/diaframma

di lavoro basse luci/alte luci, ma anche basse luci con alte luci in scena.

Da tenere in considerazione anche il fatto che il grading finale può influire fortemente sull’effetto del filtro stesso. I filtri Black X-Mist sono nati negli anni ottanta e permettevano di enfatizzare con un “glow” moderato le alte luci, ma anche di chiudere le parti della scena poco illuminate (basse luci) enfatizzando particolari zone di scena. Di base non potendo fare il grading dei film girati in pellicola (prima della digitalizzazione del negativo cinematografico), la serie dei filtri Black X-Mist hanno permesso di girare film con un accentuato carattere fotografico molto di moda negli anni 80' e 90'. Verso il 1999/2000 con l’arrivo dell’Alta Definizione (HDCAM) la serie Black X-Mist apre una nuova opportunità ai direttori della fotografia di controllare i limiti propri del mezzo digitale all’inizio della storia del cinema elettronico. Nell’Alta Definizione c’erano due problematiche precise: la prima erano la basse luci troppo aperte e presenti (iperrealiste e poco cinematiche), mentre invece le alte luci, che con la latitudine limitata diventavano orribilmente “ritagliate” e sfondate. I filtri Black X-Mist riuscivano a chiudere (una sorta di grading dei neri) le basse luci e aggiungevano un leggero “glow” sulle alte luci emulando l’effetto della classica pellicola. Il risultato era una immagine molto più cinematografica tridimensionale e meno “fredda” e televisiva.

Con le moderne camere digitali, il Black X-Mist torna in qualche modo a somigliare all’utilizzo che se ne faceva con la cineprese analogiche: aggiunge carattere e un tocco di magia visiva. Con la serie di filtri Black X-Mist si può imprimere una più intensa “drammaturgia” all' immagine cinematografica, integrandola con la forza della storia che si vuole raccontare sullo schermo.>>


Il video è diviso in due parti, i primi 10 minuti sono più tecnici e cerchiamo di analizzare i dati raccolti, nei restanti 20 minuti invece scorrono le immagini delle clip singole per poter fare una propria valutazione.


Buona visione!







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